
Cassazione, mandare foto hard su WhatsApp a un minorenne è violenza sessuale
E' legittimo contestare il reato di violenza sessuale a chi invia foto hard tramite WhatsApp a un minorenne.
Lo ha statuito la terza sezione penale della Corte di Cassazione con una sentenza dell'8 settembre 2020, con la quale ha respinto il ricorso di un uomo, indagato per aver inviato una serie di messaggi WhatsApp "allusivi e sessualmente espliciti" a una ragazza minorenne, assieme a una foto hard e alla richiesta di ricevere un'immagine dello stesso genere da lei. Per questo motivo l'uomo era stato sottoposto alla custodia cautelare in carcere.
Il tribunale del Riesame aveva confermato la misura disposta dal gip. L'indagato, pertanto si rivolgeva alla Suprema Corte sostenendo che, nel caso in esame, non fosse contestabile il reato di violenza sessuale, ma, al limite, quella di adescamento di minore, perché, rilevava il difensore, "mancava l'atto sessuale", non essendo "avvenuto alcun incontro" tra i due, così come era da escludersi il 'child grooming', ossia "la pratica di adescamento di un soggetto minorenne in internet, tramite tecniche psicologiche volte a superarne le resistenze ed ottenerne la fiducia per abusarne sessualmente".
La Cassazione, invece, nella sentenza pubblicata ieri ha ritenuto "solida e ben motivata" la decisione del Riesame, secondo cui la "violenza sessuale risultava pienamente integrata, pur in assenza di contatto fisico con la vittima, quando gli atti sessuali coinvolgessero la corporeità sessuale della persona offesa e fossero finalizzati e idonei a compromettere il bene primario della libertà individuale nella prospettiva di soddisfare o eccitare il proprio istinto sessuale": in particolare, i "gravi indizi di colpevolezza" del reato contestato erano stati ravvisati "nell'induzione allo scambio di foto erotiche, nella conversazione sulle pregresse esperienze sessuali ed i gusti erotici, nella crescente minaccia a divulgare in pubblico la chat", spiega la Corte.